Pio Filippani Ronconi, Zarathustra e il mazdeismo, Irradiazioni, Roma 2007
Pio Filippani Ronconi ci presenta l’esordio della “leggenda di Zarathustra” sullo sfondo di un Iran che, secondo una prospettiva squisitamente spirituale, corrisponde alla “terra centrale”: quel settimo karshvar della geografia sacra mazdaica che la tradizione iranica identifica col mitico Airyanem Vaêjô. “La tradizione religiosa – egli avverte – non poteva ammettere la nascita, o la rivelazione, del Profeta, in altro luogo sulla terra che in un sito sacerrimo e puro, una specie di umbilicus mundi, ove gli archetipi divini immediatamente si riflettessero nella realtà terrena” (p. 56). In casi come questo, spiega ulteriormente l’Autore, la terminologia neopersiana ricorre all’espressione “luogo del senza-dove” (na-kojâ âbâd), tipica di una “geografia dell’anima” in cui il reperimento di regioni e contrade “è soprattutto un atto di orientamento spirituale” (p. 58). Da questa originaria sede degli Ariani, bagnata dalle acque paradisiache, il messaggio profetico primordiale si diffonderà nel territorio storico dell’Iran, fulcro del primo grande impero eurasiatico, esteso fra la Tracia ed il Turkestan.
Ad illuminare il significato metapolitico di questo impero è la stessa dottrina mazdaica. In base ad essa, le generazioni persiane successive a quelle di Ciro II e di Dario figlio d’Istaspe “ravviseranno nel Gran Re (xshâyathiya vazraka), Re dei Re (xshâyathiya xshâyathiyânâm), l’immagine riflessa sulla terra e attualizzata nel presente” (p. 82) di Yimô Xshaêtô. E’ questi il Re Primordiale, epifania vivente del principio solare che discende sulla terra, il cui mito costituisce per l’Iran il fondamento della morale e della politica: “la primordiale condizione di vita celeste in terra che il mito ario attribuisce a Yimô Xshaêtô” (p. 201) è lo scopo delle lotte e delle sofferenze affrontate con animo eroico dall’uomo consapevole e responsabile. La possibilità di realizzare sulla terra l’originaria natura celeste è simboleggiata dalla figura paradigmatica del Re, il quale deriva la propria saggezza e forza dall’aureola di gloria (hvarenô) che Ahura Mazdâh gli conferisce, dopo averla tratta dalle Luci Infinite. Questo trascendente principio di luce è “la forza motrice del mondo, incarnatasi con particolare purezza nella persona del re, e, come particella divina, presente in ogni uomo” (p. 144).
Fu proprio con Zarathustra che la religione ario-iranica sviluppò “un orientamento energicamente monoteistico” (p. 191). Fra i testi avestici, infatti, sono proprio le Gâthâ (i “Canti” in cui consiste la parte più autentica del messaggio zoroastriano), quelli in cui scompare ogni residua menzione della pluralità degli dèi. Ciò consentirà all’Islam di annoverare Zarathustra nel novero dei profeti e l’Avesta tra i libri rivelati prima del Corano, sicché l’Iran ci attesta in maniera caratteristica la possibilità della Sophia perennis di esprimersi attraverso la molteplicità delle sue forme storiche.
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